Studi professionali

 

studi professionaliA fare chiarezza sugli adempimenti e sugli obblighi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro negli studi professionali, è intervenuta già a ottobre 2010 la “Commissione Sicurezza del Consiglio Nazionale Periti Industriali e dei periti industriali laureati ( CNPI)” con sede presso il Ministero della Giustizia, mediante l’emissione delle “Linee Guida per la verifica degli adempimenti di sicurezza negli studi professionali in osservanza al D.Lgs n. 81/2008 e s.m.i.“.
Il documento si applica a tutte le tipologie di studi professionali e affronta in modo trasversale e omogeneo gli obblighi ascrivibili ai titolari degli studi, le disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e le relative responsabilità nonché gli strumenti per una adeguata e conforme valutazione dei rischi di categoria. A titolo meramente esplictivo ma non esaustivo, fanno parte di questo settore: studi di commercialisti, avvocati, amministratori di condominio, ingegneri e studi di consulenza progettuale, notai, periti industriali, geometri.

Le Linee Guida del 2010 sono applicabili a condizione che siano rispettati alcuni requisiti e sono comunque state oggetto di revisione in occasione di alcuni provvedimenti normativi emessi successivamente al 2010, quali per esempio il Decreto Interministeriale del 30 novembre 2012 sulle procedure standardizzate, e la legge di conversione n. 98/2013 che consente l’adozione di un modello ministeriale ai sensi dell’art 29 del Testo Unico per alcune tipologie di aziende definite a basso rischio infortunistico, tra le quali potrebbero rientrare gli studi professionali.

Le condizioni di applicabilità del provvedimento sono le seguenti:

  • presenza di almeno un lavoratore, […] Premesso che tutti i lavoratori devono essere tutelati (quindi anche i praticanti, i tirocinanti, i titolari di CO.CO.PRO, ecc.), i lavoratori computabili sono, a titolo esemplificativo, i soci dello studio associato, gli apprendisti, ecc.;
  • numero di lavoratori […] non sia superiore alle dieci unità;
  • attività non soggetta a C.P.I. dovuto, ad esempio, alla presenza di archivi cartacei”;
  • rischi a cui sono esposti i lavoratori: unicamente quelli derivanti dallo svolgimento di attività di tipo tecnico-amministrativo, in assenza, quindi, di esposizione ad agenti chimici, biologici, rumore, vibrazioni, movimentazione manuale dei carichi, atmosfere esplosive, campi elettromagnetici, uso di macchine utensili, ecc.

A condizione quindi che i requisiti appena citati siano rispettati, gli studi professionali possono avvalersi delle Linee Guida e applicare le procedure standardizzate per effettuare la Valutazione dei Rischi. Il documento propone un valido approccio per la valutazione dei rischi, utilizzando procedure standardizzate che aiutano gli addetti ai lavori nell’identificazione dei rischi aziendali.

Le procedure non sono ottimizzate tuttavia, come è facilmente intuibile, per essere applicate a qualsiasi tipologia di attività professionale, ma possono fungere da spunto iniziale come promemoria per la valutazione del rischio da esposizione a videoterminali, elettrico, da Stress Lavoro Correlato, da esposizione a sorgenti rumorose o a fattori microclimatici ambientali.
Sono tutte tipologie di rischio riscontrabili all’interno di un ambiente dove si pratichi prevalentemente attività di ufficio, e quindi applicabili alla maggior parte degli studi professionali oggetto di questo approfondimento. Occorre tuttavia precisare che per alcune particolari tipologie di studi professionali risulta obbligatorio effettuare una valutazione più dettagliata e approfondita se, per esempio, vi sono situazioni che espongono i lavoratori a rischi tipici di un cantiere (si pensi al caso di progettisti, geometri o ingegneri che effettuano sovente attività di supervisione diretta del cantiere edile).

È doveroso ricordare che il documento contenente le Linee Guida non è recentissimo e che ci sono state evoluzioni normative successive, alcune delle quali già citate, che ne hanno imposto una revisione o perlomeno un’attenzione particolare nell’applicabilità di alcune misure in esso contenute. Un ulteriore esempio è quello riferito all’obbligo della formazione, così come definito negli Accordi tra Stato e Regioni del dicembre 2011, che impone ai titolari, agli addetti, tirocinanti o apprendisti, di frequentare un certo numero di ore di formazione e di aggiornamento, in materia di sicurezza, in base al livello di rischio dell’azienda ed al ruolo aziendale.

Un’ultima importante precisazione riguarda proprio i tirocinanti, gli stagisti o gli apprendisti negli studi professionali, nei confronti dei quali gli obblighi in materia di formazione e di sorveglianza sanitaria sono stati ridefiniti ancora una volta all’interno del “Decreto del Fare” (D.M. 69/2013). Pur restando naturalmente valido il presupposto che fa rientrare queste categorie all’interno della definizione generale di “lavoratore”, garantendone quindi il diritto alla tutela della salute così come definito negli art 2 comma 1 a e articolo 4 commi 1 e 2 del D.Lgs 81/08, gli obblighi di dover sostenere la formazione sono vincolati al fatto che, per i soli lavori di breve durata, questa non sia stata già precedentemente sostenuta (e opportunamente documentata) all’interno del medesimo settore lavorativo e/o nei confronti degli stessi rischi.
Facciamo un esempio per meglio chiarire il concetto. Si prenda un tirocinante che ha effettuato regolarmente la formazione generica e specifica per alcuni rischi ai sensi degli Accordi Stato Regione del 2011, presso uno studio professionale. Se nell’ambito di poche settimane dovesse cambiare studio professionale, non dovrà più sostenere la formazione già effettuata che viene riconosciuta come valida. Lo stesso principio si applica alla sorveglianza sanitaria effettuata al fine di ottenere idoneità alla mansione specifica.

 


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