Decreto 81/08: quale formazione per dirigenti e preposti?

 

02 Dicembre 2008

Uno dei punti richiamati al comma 1 dell’art. 30 riguardo agli aspetti che devono essere tenuti sotto controllo dal modello di gestione esimente ai fini del D.Lgs. 231/01 per quanto riguarda i reati di omicidio e lesioni colpose, con mancato rispetto delle norme antinfortunistiche, è l’indicazione della necessità di vigilare sull’effettivo rispetto delle procedure instaurate in azienda e quindi verificare che tutti i soggetti interessati seguano concretamente il modello, questo indipendentemente dal fatto che il modello sia corretto, perché qualora il modello sia correttamente sviluppato anche nella sua parte speciale relativa alla sicurezza, ma non sia associato a una promozione, a un controllo della attuazione del modello medesimo, quindi a una spinta all’attuazione delle procedure delle regole di sicurezza in genere e a una vigilanza sulle medesime, il modello di fatto risulterebbe inefficace e quindi perderebbe anche il suo valore esimente per le responsabilità amministrative dell’azienda.


Ora noi sappiamo che il problema della vigilanza sull’aspetto operativo non è un problema che riguarda l’alta direzione e neanche la dirigenza, che sono comunque sempre o quasi sempre lontane dalla situazione sul campo e quindi non hanno gli strumenti pratici per attuare direttamente un’opera di promozione e vigilanza del rispetto delle procedure. Le figure chiave in questo processo non sono neanche gli intermedi talvolta, per esempio i capi reparto, anch’essi spesso sono coinvolti in attività di pianificazione e controllo, che non li tengono sufficientemente a contatto con la realtà operativa. Ne risulta quindi che la vera vigilanza, quella che impedisce o almeno riduce i comportamenti scorretti è quella che può essere attuata dai preposti che operano sul campo, che sono naturalmente i preposti di più basso livello presenti in azienda, quali i capi turno, capi squadra, capi settori di determinati servizi. Questi soggetti, per il fatto stesso che operano strettamente a contatto con i lavoratori, hanno tutto l’interesse a non porsi in contrasto con questi, perché il loro risultato finale su cui si misurano le prestazioni a fine anno, è spesso legato al buon rapporto che sanno instaurare con i lavoratori che più o meno si rendono disponibili per raggiungere determinati obiettivi lavorando con attenzione, precisione e impegno. Peccato che, forse per effetto del fatto che negli obiettivi di fine anno la sicurezza spesso non viene quantificata, questo impegno è volto ad altri fattori e trova nella sicurezza, nel lavorare secondo procedure, nel lavorare secondo sequenze definite e regolamentate, un ostacolo, apparente quanto meno, al raggiungimento degli altri obiettivi .


Per trasformare questa situazione e coinvolgere i preposti nelle attività di vigilanza, lo stesso decreto legislativo 81 all’art. 19 evidenzia in modo esplicito quest’obbligo dei preposti, ma non da alcuna indicazione, com’è naturale che sia in una Legge, su quelli che possono essere i metodi, le logiche, o i modelli organizzativi idonei per avere un effettivo coinvolgimento dei preposti. È quindi necessario superare questo ostacolo, ovvero è necessario che le aziende, al di là dell’attività di costruzione di un modello organizzativo idoneo e quindi completo in tutte le sue parti comprese quelle operative, si impegnino anche nel coinvolgimento nel processo di miglioramento della sicurezza dei preposti e anche dei lavoratori stessi, ma in questa sede vogliamo concentrarci principalmente sui preposti e sull’obbligo di vigilanza e di informazione in merito a problematiche di sicurezza di cui essi vengono a conoscenza, obblighi entrambi sanciti dall’art. 19 già prima citato.


Il primo punto da prendere in considerazione, per coinvolgere i preposti prima di tutto nella vigilanza, è la chiara definizione delle loro mansioni all’interno dell’azienda. Non si può pretendere che un preposto, posto di fonte all’art. 19, riesca a tradurlo correttamente nella sua realtà organizzativa aziendale, capendo quindi quali sono gli aspetti della vigilanza che spettano a lui e quali sono gli aspetti di vigilanza che spettano ai suoi diretti superiori o a chi, ancora in veste di preposto, collabora con lui. Se l’azienda non traduce l’art. 19 nella sua realtà, dando ad ogni preposto e categoria di preposti un’indicazione precisa su quello che l’azienda medesima chiede da loro l’organizzazione aziendale o meglio l’articolazione di funzioni, così come chiamato dall’art. 30, non è idonea a far funzionare il modello istituito e quindi questo può far perdere uno dei requisiti essenziali per l’effetto esimento del modello medesimo. Questa definizione che dicevamo non deve essere una definizione generica, ma si deve riferire alla concreta operatività del preposto e deve distribuire fra preposti di diverso grado l’impegno, sia della conduzione dell’attività lavorativa, sia dei controlli di impianti e mezzi di produzione, sia della vigilanza, in modo tale che questa distribuzione sia equilibrata e a nessuno vengano richieste prestazioni in materia di sicurezza superiori alle sue effettive possibilità. Anche questo errore farebbe perdere di efficacia ed efficienza il modello, rendendolo di nuovo non idoneo ai fini esimenti. Quindi la mappatura delle attività dei preposti e un’attenta distribuzione delle responsabilità che entri nei dettagli operativi, senza però avere una pretesa di esaustività su tutti gli aspetti di estremo dettaglio, deve essere il primo passo dell’azienda che deve chiarire a se stessa quale effettivamente è la propria organizzazione, quale effettivamente è la richiesta che fa ai suoi collaboratori.


Fatto questo però il problema non è affatto risolto, se si costruisce una sorta di mansionario logico, ben articolato, preciso, indiscutibile e lo si propone a dei preposti, oggi è molto probabile che questo mansionario venga ritenuto un arbitrio da parte dell’azienda che tenta di attribuire ai lavoratori e ai preposti delle responsabilità che a loro non spettano al solo fine di preservare i vertici aziendali dalle proprie responsabilità. È quindi necessaria un’attività di formazione, di coinvolgimento, di crescita culturale dei preposti che deve essere impostata dall’azienda sin da subito quando decide di instaurare un modello organizzativo, perché solo così arriverà ad avere una platea di lavoratori e preposti ricettiva rispetto alle sue indicazioni quando saranno pronti i documenti che descrivono precisamente l’articolazioni di funzioni adottata. Non è sufficiente dire a un preposto che ciò che gli si chiede era già quello che gli si chiedeva in precedenza salvo che ora è messo in forma esplicita; questo può essere vero nella maggior parte dei casi o almeno in alcuni, ma non viene recepito in questi termini e viene rifiutato come una scusa a mascherare un’imposizione impropria ed ingiusta da parte dell’azienda.


Essendo invece il ruolo dei preposti fondamentale, come ben sappiamo, nella gestione della sicurezza in azienda, è necessario partire immediatamente, quando si stabilisce che la strada che l’azienda vuol perseguire è quella di un modello organizzativo esimente, da una formazione di base che faccia intuire e illustri il ruolo che effettivamente non può essere altro che dei preposti nella conduzione e nella vigilanza sull’operatività. Solo facendo questo e avendo i tempi sufficienti e anche operando non tramite ragionamenti teorici, ma anche e prevalentemente sul campo tramite valutazioni congiunte on the job della realtà operativa e delle reali possibilità di intercettare errori o manchevolezze da parte dei lavoratori, si può arrivare al coinvolgimento dei preposti e quindi alla convinzione da parte di questi ultimi che il loro ruolo svolga effettivamente in azienda una funzione determinante sotto il punto di vista della sicurezza.


Questo tipo di operazione, abbiamo detto, non è semplice e deve essere fortemente supportata da tutto il vertice aziendale, a partire dalla direzione per arrivare alla dirigenza per arrivare a coloro che sono seppur preposti soggetti che non sono direttamente coinvolti sul campo ma comandano coloro che sono sul campo. Tutte queste persone devono mostrare una convinzione comune nel riguardo al ruolo del preposto e alla sua importanza e devono in qualche modo trasferire questa sensazione percezione di importanza ai loro collaboratori. Questo evidentemente presenta delle controindicazioni perché il collaboratore, che a un certo punto ritiene di avere maggiore importanza oggi di quanta ne aveva ieri, potrebbe ritenere legittime alcune richieste aggiuntive; altre volte ci si accorge che l’inquadramento stesso dei lavoratori che svolgono il ruolo di preposti non è del tutto corrispondente alla mansione svolta.


Questi sono problemi che devono essere valutati preliminarmente, ma che in una forma o nell’altra si presentano nella maggior parte dei casi almeno secondo l’esperienza di chi scrive. Superato questo ostacolo o meglio fatta chiarezza anche su questo aspetto è importante quindi coinvolgere la famiglia dei preposti più che i singoli preposti per far capire loro il ruolo importante svolto in azienda ma anche il supporto che l’azienda gli mette a disposizione in termini di strumenti, di check list, di modi di comportare, di istruzioni on the job, affinché possano svolgere la loro attività di conduzione e vigilanza senza avere dubbi sulla corretta esecuzione della medesima, oppure senza ritenere che il loro compito diventi esclusivamente quello del vigile che non fa altro dalla mattina alla sera che controllare il prossimo.


Su questo il compito formativo dell’azienda è fondamentale e non può essere neanche standardizzato perché ogni azienda ha una sua organizzazione e in questa il ruolo di preposto è vissuto diversamente; non a caso il medesimo D.Lgs. 81 prevede che la formazione dei preposti avvenga in azienda, non tanto come luogo fisico riteniamo, quanto piuttosto come luogo di persone che condividono una comune esperienza e una comune organizzazione e che quindi sono preposti in un modo specifico, diverso probabilmente da quello in cui lo sono i preposti dell’azienda che ha il capannone a 100 metri di distanza da quello della loro.


La progettazione della formazione, l’erogazione e così via devono essere estremamente accurati e certamente non si può pensare che con lezioni frontali di durata più o meno prolungata si possa rapidamente risolvere il problema; questo problema si risolve, quello della crescita culturale dei preposti, attraverso un’affiancamento puntuale sul campo tramite il quale si prendono insieme in considerazione delle situazioni e si possa ragionare su quali comportamenti sarebbero stati quelli corretti da parte dei medesimi preposti.


Un’esperienza maturata in questi ultimi anni ha evidenziato che per far crescere in una azienda di medie dimensioni un gruppo di preposti di medio livello, per la precisione capi reparto, ci sono voluti 3 anni per arrivare ad una completa comprensione del ruolo ed a una fattiva collaborazione con la direzione e la dirigenza in materia di sicurezza senza fraintendimenti, scivoloni e polemiche. Analogo progetto rivolto a preposti di livello inferiore richiederà probabilmente tempi di lunghezza comparabile, quindi non 2 mesi, non una lezione, ma piuttosto un anno di continuo lavoro di affiancamento o più, certamente nell’azienda di cui parliamo questa attività potrà essere svolta con l’aiuto dei capi reparto che sono già formati e quindi l’impegno non sarà così gravoso in termini di impegno continuativo o in aula di ore di docenza.


L’impegno sarà invece da parte di coloro che comunque passano 8 o più ore della loro giornata lavorativa in reparto o a stretto contatto col reparto, l’impegno sarà quello di rispondere pacatamente e tranquillamente ai quesiti posti e di impegnarsi in caso di errore ad insegnare il corretto modo di comportarsi ai preposti medesimi, senza incorrere nella tentazione di intervenire direttamente sui lavoratori saltando il ruolo di preposto e di fatto togliendo dignità e funzione a queste figure che poi potrebbero sentirsi del tutto deresponsabilizzate. Molte volte infatti abbiamo sentito parole come “intanto la vigilanza è compito del capo reparto, io devo fare produzione”. Queste brevi note vogliono solo evidenziare una criticità che non emerge direttamente dalla legge ma che diventa sul campo sicuramente una delle principali per la effettiva attuazione di un modello organizzativo che può essere progettato, implementato, sviluppato nei migliore dei modi possibili, ma che non troverebbe comunque efficacia né tantomeno efficienza se le persone coinvolte a tutti i livelli di responsabilità non svolgono adeguatamente il loro ruolo.


Fonte: Anfos.it


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